LA DISTANZA TRA TORINO E ROMA

Due città protagoniste del weekend trascorso. Una, Torino, per una manifestazione a sostegno del Tav, l'altra, Roma, per il clamoroso flop del referendum sulla privatizzazione dell'ATAC.
Non può esserci chi non veda quanta sia la distanza che ha separato le due città.
La capitale d'Italia appare sdariata, quasi rassegnata nello sconcertante immobilismo della sua amministrazione comunale. Al contrario quella che fu la prima capitale, si è riversata orgogliosamente in piazza per una ribellione gentile verso chi nell'immobilismo e nella marginalità vorrebbe collocarla.
"Ci sono donne, uomini, vecchi, giovani, madamin e bambini, ci sono torinesi che parlano in piemontese, torinesi che parlano un po' in calabrese, siciliano, pugliese; torinesi con la pelle bianca, torinesi con la pelle nera, torinesi con la pelle gialla. C'è Torino, insomma. Cara Italia, so che anche tu sei un pò stufa dell'arroganza e dell'incompetenza e che hai voglia di futuro. Se è così, allora butta un occhio a Torino in questi giorni e guarda cosa sta accadendo qui".


Lo ha scritto in una lettera pubblica  Piero Fassino che ha descritto in poche righe chi sono torinesi di oggi e di domani e quale sia lo spirito che li anima.
Di un aspetto vi è di che essere certi:, come a Genova per altre ragioni, molti tra coloro i quali hanno votato M5s alle amministrative e alle politiche si stanno mangiando le mani. A Torino la giunta pentastellata, pur avendo, a detta di tutti, un compito meno difficile rispetto al governo della capitale è riuscita nell'impresa di bloccare una città da sempre proiettata verso il futuro. Il no al Tav del Comsiglio comunale è l'ultima di una serie errori politici clamorosi che, sin dal suo insediamento, hanno contraddistinto la giunta Appendino. Basti citare tra i tanti il no alla candidatura alle Olimpiadi invernali del 2026. Sabato scorso, con una mobiltazione nata, come si usa dire, "dal basso", oltre 30.000 torinesi hanno spiegato, con deciso garbo subalpino, che non intendono sottostare alle demenziali dottrine su "costi e benefici" legati al Tav che seguitano ad agitare l'assurdo Ministro delle Infrastrutture Toninelli e una sindaca che appare incapace di assumere un'iniziativa autonoma. Di costi si è già parlato e sono noti. Di benefici c'è poco da parlare: un cittadino dotato di normale spirito d'osservazione e di medio equiibrio è in grado di capire che un'infastruttura che mette la tua città all'interno di un sistema continentale integrato di collegamenti per persone e merci altro che benefici non può che portare.
Il caso Roma al contrario è stato, una volta di più, illuminante circa il desiderio dei cittadini di essere parte attiva nella risoluzione dei problemi che è pari allo zero. Il referendum sulla privatizzazione dell'Atac è clamorosamente fallito, non perchè vi sia stata scarsa informazione, ma perchè, a fronte di una questione sentitissima, ha prevalso l'ignavia di chi pensa che tanto non cambierà nulla. Una sorta di rassegnato fatalismo che consentirà alla pessima Sindaca Raggi, uscita indenne dalla vicenda giudiziaria, di continuare a fare danni per i prossimi due anni e mezzo. Il combinato disposto tra sentenza e referendum fallito, mette al riparo lei da soprprese e costerà alla città un prezzo salatissimo.
La manìfestazione di Torino, tuttavia, ha fissato un punto sul quale i contraenti il contratto di governo non possono pensare di sottrarsi. Se il governo Conte sarà funzionale alle necessità infrastrutturali di vaste aree del nord italia (in primis l'ovest) produttivo e sgombrerà in fretta il campo dalle demagogiche pastoie che i grillini seguitano a porre innanzi, l'esperienza gialloverde (ahinoi!) potrà avere un futuro.
Se, al contrario, dovessero prevalere le contraddizioni, le titubanze o le conclamate contrarietà all Gronda di Genova, alla Pedemontana veneta, al Tav Torino Lione alla Lega non resterà altra scelta che spegnere la luce di Palazzo Chigi e chiudere la porta al M5s.
Matteo Salvini non ha a disposizione molto tempo per decidere, poichè dal profondo nord si moltiplicano abbastanza velocemente le espressioni di disagio e di fastidio verso una partnership che non sembra portare molti benefici che non siano quelli (per ora solo vituali) elettorali.
Nel M5s poi qualcuno dovrebbe spiegare a Luigi Di Maio, il senso dell'aforisma attribuito a Enrico IV: "Parigi val bene una messa".
Non succederà: l'ottuso Vicepremier non lo capirebbe.