LA TEORIA ANTIEVOLUZIONISTA DELLA POLITICA

«Il populismo è la malattia infantile di ogni estremismo». Un vago Novecento. Un improbabile Vladimir Il'ič Ul'janov punta il dito e saetta uno sguardo di fuoco.  Nella caliginosa assemblea del Comintern, il bersaglio indicato è il placido e indolente Karl Kautsky.  
Un fake alterato, dedicato ai nostalgici della politica romantica. Un secolo separa il titolo del saggio scritto da Lenin dalla candida apparizione vespian-televisiva di Luigi Di Maio. Cento anni di politica complessa, tormentata, colta. Un secolo per passare dalle elaborate teorie leniniste dedicate agli estremismi alle gelide manine pentastellate. Una sorta di Teoria antievoluzionista della politica. Dalle raffinatezze intellettuali alla dabbenaggine digitale. Dalle polverose e insopportabili analisi sovietiche, alle leggiadre e opache tesi degli Studi associati.


Spettri si aggirano per l’Europa: populisti, sovranisti, antieuropeisti, scissionisti, nazionalisti, razzisti, isolazionisti. Chi fugge dai propri fantasmi se li ritrova, ogni mattina, ai piedi del letto. Spiriti maledetti con i quali non siamo mai riusciti a fare i conti. Ombre nere, fascismi mai sopiti, rischiano di non condurre al traguardo del secolo di storia europea.  
Uno sconvolgimento ingenerato da protagonisti politici mediocri, rozzi, volgari, ignoranti, disadorni.  Scompiglio politico che i progressisti europei affrontano come pugili suonati, menando fendenti nell’aria. Forze di progresso che continuano a ripetere lo stesso, tragico, errore: frammentarsi, dilaniarsi. Identico diabolico specchio di ogni insulso separatismo.
Arene feroci sono ormai i social forum, i luoghi di lavoro, i talk show. Nessun confronto dialettico è consentito, solo vomiti di ingiurie violente, cateratte di offese inenarrabili. Una sorta di ipnosi di massa alla quale assistiamo inorriditi.
Estremismi che muovono da una stagione politica recente. Scevri da ogni condizionamento ideologico, è forse la stessa malattia infantile che armava plotoni di dissidenti all’ingresso dell’hotel Raphael a Roma. Quelle monetine-pallottole scagliate contro Bettino Craxi, hanno incarnato non solo la sua esecuzione, ma la fucilazione della politica italiana. Un fenomeno complesso. Processo, probabilmente, frutto delle solite menti raffinate evocate da un grande magistrato, dilaniato dal tritolo mafioso. Un nuovo corso inaugurato dall’abolizione dei finanziamenti pubblici ai partiti, la continua irrisione dell’informazione, la sistematica sottrazione di risorse pubblicitarie alla stampa, l’imposizione di una devastante cultura televisiva nazional-popolare, il rapporto malato tra la magistratura italiana e la politica, il dominio incontrastato delle mafie in interi territori regionali, una burocrazia opprimente e vessatoria, un sistema bancario opaco. Fino al trionfo della comicità politica. Masse vocianti di ocoparlanti acquartierati vigliaccamente dietro un monitor. Negli anni complessi della rivoluzione di Tangentopoli, un noto sindaco di Milano, accerchiato da una manipolo di dimostranti, inveiva al grido di: “Straccioni, fascisti”.
Mutuando il paradigma di Arbasino, da giovani siamo brillanti promesse. Nel corso dell’età adulta non possiamo che essere, soliti stronzi. Fino a giungere all’ultimo capitolo, quello dei venerati maestri. Un maestro riverito, ha il diritto di rivolgersi con sincerità ai manipoli di fascisti digitali, ai nazionalisti delle valli, populisti dei balconi, sovranisti borbonici, antieuropeisti degli ex regimi sovietici, scissionisti lagunari, nazionalisti ciociari, razzisti nipoti di terroni, e rivolgere loro un carezzevole: “Straccioni, fascisti”.
Concetto Prestifilippo