Dario Corallo, dirigente Carneade del Partito Democratico, rivendicando niente più che la propria giovane età (per quanto sia già discutibile, a trent’anni suonati, definirsi ancora giovani), ha annunciato di volere dare la scalata alla segreteria nazionale e ha consumato il suo quarto d’ora di celebrità all’assemblea del partito di sabato scorso.
Il suo intervento è asceso alle cronache nazionali, complice un’azzardata citazione dell’immunologo Roberto Burioni (“Un Burioni qualsiasi…” cit.), esempio negativo, secondo il dirigente dem, di un’attitudine elitaria e sprezzante.
Si potrebbe commentare – e ne è la riprova questo articolo – che a Corallo sia riuscito di realizzare il proprio scopo, cioè quello di fare parlare di sé.
Tuttavia, andrebbe altresì considerato come strumentalizzare a fini di fatua visibilità congressuale una figura, come Burioni, già fin troppo esposta alle intemperanze di un movimento di opinione becero e violento, quale quello dei no-vax, sia sintomo se non di scarsa intelligenza, almeno di poca umanità.
A rendere l’uscita di Corallo ancora più odiosa e contestabile è poi l’impressione che il bersaglio non sia stato scelto a caso. È l’idea che, più che il gusto di pestare il callo al professore famoso, si sia deliberatamente inteso fare l’occhiolino a tutto quel mondo che le posizioni di Burioni contesta. Perché se protestano, sembra il non detto, qualche ragione pure l’avranno.
Interessarsi alle proteste e infischiarsene dalle ragioni, perché tanto, a rilevare, sono solo ed esclusivamente le ragioni del Partito, era il viatico di una certa sinistra, che si pensava estinta e schiacciata dalle macerie di un famoso muro, ma che evidentemente condiziona ancora il modo di pensare anche dei suoi più ‘giovani’ nipotini.